Cultura
Nuovi strumenti e nuovi assetti per la cultura
Un aspetto importante dell'industria culturale nella società di massa è la sinergia che si viene a creare tra i vari ambienti. La fotografia presta i suoi servigi alla stampa quotidiana e periodica; la pubblicità utilizza i volti dei personaggi dello spettacolo conosciuti dalla gente attraverso giornali e TV, e utilizza spesso come jingle brani musicali di successo; la radio trasmette canzoni e melodie che si possono ascoltare acquistando un CD.
Anche i generi "trapassano" da un settore all'altro: la fantascienza nasce in ambito letterario, ma presto si afferma anche nel cinema e nel fumetto; le sceneggiature dei film più famosi diventano libri da leggere (e viceversa). Questa tendenza alla commistione genera anche alcuni tentativi di contaminazione con i prodotti della cultura "alta": così le grandi opere della letteratura diventano sceneggiati televisivi, e i musicisti di estrazione rock cercano soluzioni espressive che recuperano forme e sonorità della musica classica.
Un ulteriore aspetto da tenere presente è la "colonizzazione" che i prodotti della cultura di massa finiscono per operare in tutti gli ambiti della vita quotidiana. Non esiste uno spazio che essi non riempiono: la lettura, l'ascolto di musica, per non parlare della fruizione di radio e TV, non si collocano in precisi spazi della giornata, ma costituiscono per così dire il "sottofondo" dell'intera esperienza quotidiana.
La fabbrica dell' immaginario
Un'altra fondamentale caratteristica dell'industria culturale del Novecento, ben messa in evidenza dallo studioso francese Edgar Morin, è il suo costituirsi come una sorta di mitologia.
Come ogni forma di cultura, anche l'industria culturale ha le proprie divinità e i propri eroi, e un Olimpo costituito dallo spettacolo, ovvero da quella dimensione in cui il fruitore sperimenta in modo potente l'esperienza di evasione fantastica dalla realtà. Gli "dei", o i divi, della cultura di massa sono pertanto personaggi dello spettacolo: attori, cantanti di successo, campioni sportivi, ma anche personaggi della politica, scienziati e industriali, nella misura in cui vengono svuotati delle loro qualità essenziali e assunti alla gloria della visibilità attraverso le apparizioni televisive o le pagine dei rotocalchi che raccontano con dovizia di particolari la loro vita privata: amori, matrimoni, viaggi, vacanze e così via.
Ma quali meccanismi psicologici e sociali presiedono a un simile fenomeno?
Nel processo di "divinizzazione" dei protagonisti del mondo dello spettacolo entrano probabilmente in gioco due spinte complementari:
- una è quella che Umberto Eco definisce «riduzione all'everyman»: la gente ama la possibilità di riconoscersi nei personaggi dello spettacolo identificandosi in qualche modo con le loro qualità ed esperienze. In un saggio del 1963 intitolato Fenomenologia di Mike Bongiomo. Propone a questo riguardo l'esempio del noto conduttore televisivo, il quale a suo giudizio non eccelle né per bellezza, né per intelligenza, né per cultura, e proprio per questo "tranquillizza" coloro che lo seguono.
- la seconda spinta è invece costituita dal fatto che i personaggi dello spettacolo danno corpo ad aspirazioni che la gente comune non può realizzare: la loro vita è sapientemente dipinta dai media come un perpetuo "tempo libero", come libera da restrizioni economiche e da eccessive inibizioni morali, e come governata esclusivamente dalla ricerca della felicità e della realizzazione personale. È dunque naturale che la ricchezza, la bellezza e il fascino del divo o della diva, la supposta facilità con cui essi possono esaudire i loro desideri e, soprattutto, la "visibilità" di cui godono agli occhi degli altri li rendano oggetto di perpetua invidia e ammirazione.
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